Dal disastro torinese al tonfo basco. La settimana orribile dell’Atletico Madrid si è tristemente completata con un en plein che segna la parola fine agli obiettivi stagionali. Ci sarebbe stata una Liga alla portata, con un Barcellona meno scintillante all’inizio del campionato. Il distacco delle ultime gare salito a 7 punti lasciava spazio ad una tenue speranza. Difficile colmare lo svantaggio, ma lecito sperare in un passo falso degli uomini di Valverde. Ora, sotto di 10 lunghezze, c’è da preoccuparsi di difendere il secondo posto dall’assalto del rinato Real Madrid. Ci sarebbe stata pure una Champions League da conquistare, potendo contare sul fattore campo in caso di finalissima. Ed invece al Wanda Metropolitano farà festa qualcun altro. Colpa di una rimonta dolorosa incassata dall’acerrimo nemico Cristiano Ronaldo. Un passaggio dall’estasi del 2-0 dell’andata al 3-0 dello Stadium che brucia e lascia nell’animo dei tifosi colchoneros la sensazione di aver sprecato una grandissima occasione.
A questo punto, senza più trofei da poter conquistare, la parola giusta per la stagione dell’Atletico è fallimento. Non potrebbe essere diversamente perché questo doveva essere un anno differente, quello della definitiva consacrazione della banda del Cholo. Non che la bacheca fosse rimasta finora vuota: due Europa League, una Liga ed una Copa del Rey sono testimonianze della crescita dei colchoneros da quando Diego Simeone siede sulla panchina madrilena. Inoltre il gruppo aveva fatto un patto con lo scopo preciso di arrivare fino in fondo alla Champions per vincere l’unico trofeo sfuggito per un nulla in due occasioni al nucleo storico, da Godin a Diego Costa, da Griezmann a Saul. Nessun big aveva prestato orecchio ai rumors di mercato. Tutti uniti per la Coppa più prestigiosa. Non essere riusciti a portare fino in fondo l’ambizioso progetto è un tonfo doloroso che apre interrogativi importanti.
A lungo si è parlato del “cholismo” come del sistema di gioco identitario dell’Atletico. Un pressing a tutto campo fatto con lucida organizzazione e furiosa intensità, volto ad impedire alla formazione avversaria di organizzare un gioco efficace e ragionato. Il 4-4-2 di Simeone è stato spesso simile ad un bunker difficilmente espugnabile, ma sempre pronto a rifilare il colpo d’artiglieria decisivo. Tuttavia, ogni filosofia palesa i propri limiti. Curiosamente, il guardiolismo tedesco mostrò di essere arrivato al termine della sua evoluzione nella semifinale 2016 contro l’Atletico. La trama di passaggi ed il gioco di incastri tra le posizioni venne anestetizzato dal pressing totale e dalle folate irresistibili dei colchoneros. A Torino, stavolta, è toccato alla banda Simeone annaspare dietro ad un credo calcistico giunto, forse, al capolinea di questa fase. Quando non riesce a tenere avanzato il baricentro e la pressione sul portatore di palla non è asfissiante, l’Atletico perde grandi armi per pungere ed erge le barricate. Il catenaccio torinese si è rivelato una lunga agonia, in attesa che Ronaldo, ancora una volta lui, premesse il grilletto per uccidere il sogno biancorosso. Al Cholo, ora, spetterà il compito di raccogliere i cocci e dimostrare di poter migliorare la propria filosofia, assicurandole nuova linfa. Dovrà ripartire da nuovi attori e, probabilmente, da novità tattiche. Un rinnovamento necessario per non estinguersi. Perché non sempre avere due “huevos” grandi può bastare a scalare l’Olimpo.
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