Lo sport dovrebbe unire, sempre e comunque. Lo sport è quella cosa che, insieme alla famiglia e alla scuola, dovrebbe insegnare ai bambini il rispetto per i compagni e soprattutto per gli avversari. Lo sport dovrebbe insegnare i reali valori della vita, perché il rispetto e l’educazione sono le basi per vivere in un mondo migliore. Il calcio in particolare, tra rabbia, insulti, partite diventate più importanti della vita stessa, soldi e guerriglia tra tifosi avversari, ha perso da tempo questi valori.

Era il 4 marzo 2018 e, come tutti i weekend, le partite di calcio di Serie A erano lì, pronte ad ospitare tantissimi tifosi allo stadio, ed altrettante persone incollate alla propria tv per seguire la squadra del cuore. Tra messaggi, smentite sui social, la speranza nella solita fake news e l’ansia per un dramma che avrebbe alterato una semplice domenica di marzo, arrivò la notizia: “Davide Astori è morto a Udine, nella propria stanza d’albergo”.  Una notizia shock per tutto l’ambiente della Fiorentina, per i tantissimi tifosi e appassionati di questo sport. Eppure, anche in quel caso, con il dolore che avrebbe dovuto prendere il sopravvento su qualsiasi cosa, alcune persone pensarono bene di mettere in primo piano la possibilità di giocare o meno la giornata di campionato, provando a mettere addirittura in mano ai giocatori la scelta. Come se davvero, davanti ad una tragedia del genere, servisse confrontarsi sul giocare o meno queste partite.

Davide Astori non c’era più, e quella domenica sembrò spenta, vuota, ma non perché si decise di non giocare nessuna partita. Quella domenica lasciò un vuoto dentro ognuno di noi, perché il mondo dello sport aveva perso una persona buona, rara ed unica. Progetti di vita con la propria famiglia; tanti anni ancora per dimostrare il proprio valore a livello calcistico; un futuro brillante in tutte le sue ambizioni più grandi: Davide lasciava così la compagna Francesca e la figlia di appena 2 anni, Vittoria.

Nelle settimane successive alla tragedia, il calcio italiano è sembrato più unito che mai. Nessuna bandiera; nessuna maglia; l’odio che nelle settimane, nei mesi e negli anni passati aveva oscurato questo bellissimo sport, sembrava un ricordo lontano e superato. In modo quasi perverso, avevamo pensato che questa tragedia potesse realmente dare una svolta decisa a tutto il mondo del calcio italiano. Come se per migliorare, per iniziare a guardare il proprio avversario con occhi diversi, con più sensibilità e meno odio, servisse una tragedia del genere.

Tuttavia, il mondo del calcio ha fallito nuovamente. Perché la scomparsa di Davide Astori ha placato gli animi solo per poche settimane. Ad un anno di distanza, gli insulti personali ai giocatori sono una costante. Gli scontri in cui perse la vita recentemente il tifoso Belardinelli, sono sempre più frequenti. I cori razzisti non hanno mai abbandonato gli stadi, e la giustificazione del “sono solo pochi individui”, non è più sufficiente. Il mondo del calcio non è cambiato. Troppe volte ci si dimentica che i giocatori sono esseri umani e che, quel giocatore insultato, fischiato e offeso a livello personale, non è nient’altro che un amico, un fratello e un collega di quel Davide Astori tanto amato da tutti.

Purtroppo, ricordiamo di essere sensibili e buoni solo quando la vita ci mette davanti a queste tragedie, e questo non dovrebbe accadere. Abbiamo fallito di nuovo, e perdonaci Davide, se abbiamo pensato anche minimamente che, con la tua scomparsa, il calcio in tutti i suoi protagonisti, potesse realmente cambiare, migliorare. Il tuo ricordo resterà vivo in tutte le persone che rispettano l’avversario; in tutte le persone che, guardando un avversario o tifoso milanista, interista, napoletano, romanista, barese, bergamasco, juventino, catanese, palermitano, laziale o di qualsiasi altra squadra, rivedrà in lui, Davide Astori, e con educazione e rispetto penserà: siamo avversari, ma ancor prima umani.

Passerà tanto tempo, Davide. Ma ci ricorderemo di te, con la speranza che il tuo sorriso possa unire realmente tante persone, rendendoci migliori. Perché non siamo avversari, siamo esseri umani.  

Sezione: Editoriale / Data: Lun 04 marzo 2019 alle 11:30
Autore: Matteo Previderio
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