Il Re ha abdicato, il regno è finito. Dopo anni di gioie, il Bernabeu non è più il simbolo dell’assolutismo calcistico targato Merengues. Per la prima volta dal 2015, la Plaza de Cibeles non saluterà l’ennesimo trofeo blanco, esposto come il nuovo figlio di una discendenza di alto lignaggio. Stavolta, niente folla oceanica. Un mesto silenzio, derivante da un misto di sconcerto e delusione, accompagna il tracollo interno del Real Madrid contro l’Ajax. L’impensabile si è realizzato.
Quando una monarchia si eclissa, l’eco della caduta è sempre fragoroso. Stupore ed incredulità lasciano il posto alla ricerca delle cause di una fine così inattesa. È colpa dell’addio di Cristiano Ronaldo, l’uomo copertina, se la macchina da guerra da tre Champions consecutive, quattro in cinque anni, si è liquefatta improvvisamente? Indubbiamente il divorzio può aver influito e, curiosamente, un parallelismo storico può derivare proprio da chi ha posto fine al regno, ossia l’Ajax. I lancieri dominarono la Coppa dei Campioni negli Anni ’70, trascinati da Johan Crujiff e da un sistema di gioco innovativo. La fuga del Pelè bianco in direzione Catalogna chiuse un ciclo straordinario, in modo analogo a quanto accaduto al Real Madrid ieri sera. Eppure, il calcio non è uno sport individuale: i Blancos hanno vinto partite anche senza CR7 e hanno fatto della compattezza del gruppo un punto di forza. Difficile pensare che un solo giocatore abbia potuto cambiare radicalmente gli equilibri.
È colpa di Santiago Solari, dunque? Ci sono traghettatori e traghettatori. Nel 2015/16 Zinedine Zidane doveva essere una soluzione comoda, destinata a portare fino al termine della stagione un Real decisamente sbiadito. Vinse la Champions e divenne un autorevole capo tribù. In molti hanno sognato lo stesso destino per l’ex Inter, ma in pochi avevano compreso che quando la luce inizia ad offuscarsi non è sempre possibile posticipare lo spegnimento. Doveva essere un semplice gestore e così sarà, a meno di clamorosi stravolgimenti. Ma non si può imputargli la colpa di non aver fatto il miracolo sulla scia di un altro capolavoro. A volte è solo questione di fortuna e puntualità.
È colpa della pancia piena? È vero che l’appetito vien mangiando, ma è lecito prendersi una pausa dopo la grande abbuffata. Tutti i cicli sono destinati a concludersi. È una legge naturale e non una diretta concorrenza della convinzione dei propri mezzi, che, secondo molti, è stata la causa principale della disfatta contro l’Ajax. Vincere aiuta a vincere, a rinforzare la propria autostima. E quando si impara a trionfare si cerca di non smettere mai. Se tutto riesce facilmente, ci si dimentica anche di quanto in realtà si sia predisposti al fallimento in quanto esseri umani. Il Real non ha sottovalutato l’avversario. Semplicemente, ha trovato di fronte a sé una squadra più affamata, precisa e concreta. Una formazione che ha imparato proprio dai campionissimi l’arte del cinismo. Al resto ci ha pensato la serata negativa degli uomini chiave, discesi bruscamente dall’Olimpo. Ed ora che le divinità hanno indossato nuovamente i panni dei mortali, è giusto ripensare, nel momento del suo epilogo, a quanto sia stato intenso questo regno. Un quinquennio di trionfi e di record. Mai nessuno aveva conquistato tre Champions di fila da quando la più importante manifestazione europea si chiama così. Nessuno ha dominato in modo così intenso la competizione continentale più famosa come fatto dai blancos. Un ciclo nato all’improvviso, con un colpo di testa in extremis di Sergio Ramos nel 2014 e proseguito dopo un anno di stop con il rigore milanese di Ronaldo. Poi i trionfi netti ai danni di Juventus e Liverpool, con quell’aura di imbattibilità, di micidiale passista capace di uscire alla distanza. Stavolta, la corsa finisce presto. Ma al Re va riconosciuto il valore delle proprie gesta e di un passato entrato nella leggenda.
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