Una stagione su livelli stratosferici, migliorata in tutti gli aspetti rispetto alla precedente, non è bastata al Liverpool e a Jürgen Klopp per riportare ad Anfield il titolo di Campione d’Inghilterra, la prima volta da quando il campionato si chiama Premier League.

La classifica recita: novantasette punti, una sola sconfitta, la miglior difesa e il secondo miglior attacco. Nel 99.9% dei casi questi numeri significano il titolo, anche con una certa facilità tutto sommato, ma non questa volta. Siamo di fronte alla miglior seconda classificata nella storia dei campionati europei da molti anni a questa parte.

La domanda ovvia e naturale da porsi è la seguente: il Liverpool poteva fare meglio di così? La risposta è complessa e richiede un salto all’indietro alla conclusione della scorsa stagione.

Nel maggio 2018 il Liverpool chiudeva il campionato con un buon quarto posto con la relativa qualificazione in Champions messa quasi mai a repentaglio; oltre a questo va aggiunta la grande cavalcata in Champions, dove Klopp poté, prima ancora dell’arrivo in finale, festeggiare la vittoria nei quarti di finale ai danni dei dominatori in patria del City. Il sogno si infranse, come tutti ricordano, sul muro merengue e tra le mani di Loris Karius.

La squadra poteva ripartire da tre punti cardine. L’impianto di gioco ormai consolidato dopo i quasi tre anni di permanenza del tecnico tedesco, una linea difensiva dall’insperata solidità creata con un mix piuttosto eterogeneo di giocatori e un attacco che aveva trovato in Salah la perfetta pedina per completare il tridente. Gli obiettivi del mercato sono chiari e il manager di Stoccarda non si fa tanti scrupoli sotto il profilo economico per arrivare ai giocatori desiderati.

I due acquisti chiave, più Naby Keïta prelevato a gennaio e lasciato al Lipsia, sono Alisson Becker e Fabinho. Nomi pesantissimi, destinati a una maglia da titolare. Se per il portiere brasiliano non c’è alcun tipo di problema nel prendere il posto di Karius, dimostrandosi un upgrade semplicemente clamoroso, per i due centrocampisti la corrente è stata piuttosto alternata.

Il ruolo designato per Fabinho era quello di centrale nei tre della linea mediana, compito che nella stagione precedente era stato assolto, non senza difficoltà, da Jordan Henderson. Il periodo di ambientamento e assimilazione dei dettami tattici si è protratta sino ad ottobre, spingendo Klopp a provare soluzioni alternative e abbastanza inedite, come Wijnaldum mediano. Una volta terminato l’apprendistato il brasiliano ha occupato stabilmente la posizione centrale, alternando costruzione (72 passaggi ogni 90 minuti con l’85.3 di precisione) e interdizione, abbinata a una solidissima costanza di rendimento, disimpegnandosi talvolta anche da difensore centrale.

Più immediato e discontinuo l’utilizzo di Keïta. Il guineano si è inserito sin dall’inizio della stagione nella rotazioni delle mezz’ali, salvo poi vedersi interrotta la stagione più di una volta per vari infortuni, non ultimo quello alla coscia che lo terrà fuori anche nella finale di Champions, intaccando la forma fisica, costringendolo spesso a spezzoni di partita o addirittura a restare in panchina.

Il percorso in campionato nel girone d’andata è immacolato, senza mezzi termini. Sedici vittorie, tre pareggi (contro City, Chelsea e Arsenal) e nove (NOVE) gol subiti. Qualcuno mormora per un attacco che ha perso un po’ di smalto, soprattutto nella figura di Salah. L’egiziano, evidentemente normalizzatosi dopo l’exploit della passata stagione (a fine stagione totalizzerà -0.21 nella differenza tra gol e xG contro l’incredibile -6.86 dell’anno passato) , ci tiene a smentire le voci con una sontuosa tripletta al Bournemouth che contribuisce ai 12 gol nel girone d’andata (saranno 22 a fine anno).

La riaggressione predicata da Klopp è integrata con un possesso palla puntuale da parte della retroguardia che mette in moto una coppia di terzini da ventitré assist in campionato e gli inserimenti delle mezzali orchestrati da Firmino, l’uomo con i codici della manovra offensiva. Il brasiliano oscilla tra il ruolo di vero e falso centravanti, aprendo e chiudendo i mezzi-spazzi, le zone di gioco corrispondenti al secondo e al quarto quinto di campo in una divisione verticale, per dare il là alle iniziative delle già citate mezz’ali e dei due veri finalizzatori, Salah e Mané.

La campagna verso il titolo prosegue con l’importante, ma ancora apparentemente non decisivo, scontro diretto alla ventesima giornata. La partita si attesta su livelli altissimi e viene decisa da due giocate straordinarie di Sané e del Kun, a cui aveva risposto Firmino. Al risultato finale va aggiunto l’ormai celebre e a questo punto storico salvataggio di Laporte. Il basco arpiona sulla linea l’orribile disimpegno scaturito da un rimpallo su Ederson, tendendo il pallone in campo per appena undici millimetri.

I Reds rimangono comunque davanti, ma, un pareggio dopo l’altro, il tesoretto nei confronti di un implacabile City viene dilapidato. I cinque pari nelle successive nove partite riportano gli Skyblues avanti di quel misero ma sufficiente punticino che Guardiola e i suoi conserveranno fino al fischio finale dell’ultima giornata. Una beffa di dimensioni quasi mai viste in tempi vicini o lontani.

Il Liverpool mette in archivio il terzo miglior risultato di sempre nella storia della Premier, i primi due posti sono occupati dalle ultime due annate del City, continuando la poco invidiabile tradizione di essere l’unica squadra “campione d’inverno” della Premier League incapace di vincere poi il titolo, evento occorso per tre volte del ’92 a oggi.   

Cosa può trarre Klopp da un percorso per certi versi irripetibile per quanto non pienamente compiuto? Il punto più importante è la consapevolezza, dei propri mezzi e del proprio gioco. La rosa è sembrata coinvolta nella sua totalità nel progetto anche nei suoi effettivi più marginali, dimostratisi, a volte con discreta sorpresa, all’altezza di una lotta per il titolo.

Guardando al futuro e al mercato, la possibilità di rinforzare la squadra non può prescindere da un centrale superiore a Matip e Lovren, due buonissimi scudieri di Van Dijk va detto, per cui andranno fatti corposi investimenti. In seconda battuta arriva la questione attaccante: Origi e Shaquiri hanno dato risposte confortanti, ma un giocatore più simile a Firmino è una priorità piuttosto rilevante per un attacco che ha trovato nella configurazione attuale un’efficienza con pochi eguali al mondo.

Quindi no, il Liverpool non poteva davvero fare meglio di così e va dato il giusto merito alla seconda stagione aliena del Manchester City. L’obiettivo sfumato per un colpo di pedale non cambia il giudizio positivo sulla stagione dei Reds, che aspettano con trepidazione la finale tutta inglese col Tottenham per provare a certificare col bersaglio grosso il lavoro di questi ultimi tre anni e mezzo.

Sezione: Approfondimenti / Data: Mer 15 maggio 2019 alle 19:11 / Fonte: Whoscored, Understats
Autore: Alberto Falcomer
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