Un addio tira l’altro. Almeno così sembra funzionare in casa Roma. Dopo l’esonero di Eusebio Di Francesco, è toccato al direttore sportivo Monchi salutare la società giallorossa. Una decisione legata da tanti aspetti. In primis, proprio dalla decisione del club di cambiare guida tecnica, contrariamente al parere dello spagnolo, da sempre sostenitore di “Di Fra”. Sicuramente ha anche inciso l’atmosfera sempre più cupa dopo le ultime delusioni. Il recente sfogo con i tifosi di ritorno dalla trasferta di Oporto è stata la goccia che ha definitivamente fatto traboccare il vaso. E poi molto hanno influito le discordanze con il presidente James Pallotta tra un progetto tecnico che non aveva mai pienamente convinto ed i conti di un bilancio reso sì sano dagli introiti di Champions League e mercato, ma appesantito anche da ingaggi pesanti offerti a giocatori finora deludenti.
Si può definire fallimentare l’esperienza di Monchi alla Roma? Difficile trarre un giudizio uniforme quando si parla di un uomo mercato, ancora di più se l’avventura è stata così breve. All’ex Siviglia va riconosciuto il merito di aver guidato la difficile transizione del post Totti. L’estate 2017 con gli addii di Salah, Paredes e Rudiger non è stata semplice, ma il ds ha saputo indovinare interessanti colpi low cost come Kolarov e Under. In generale, però, non si può negare che da uno come lui ci si aspettasse qualcosa di più. Se il numero di innesti fallimentari supera di molto quello degli acquisti azzeccati c’è un problema di fondo. Da Pastore a Nzonzi, da Santon a Gonalons, da Marcano a Jonathan Silva, passando per Schick, mai esploso e comprato allo stesso prezzo con cui era stato ceduto Salah. Insomma, troppi gli sbagli commessi nello strutturare la squadra. Errori divenuti orrori pensando ad una rosa indebolitasi complessivamente e cresciuta del 7% nel monte ingaggi. Ottimo l’operato di Monchi giudicando esclusivamente i numeri delle entrate. E le quattro sessioni di mercato che lo hanno visto protagonista si sono concluse con un bilancio in attivo di quasi 80 milioni. Un toccasana notevole per le casse della società.
Indubbiamente, il percorso romano dell’andaluso è stato contraddistinto dagli errori, il più pesante dei quali è avvenuto però lontano dalle sedi del mercato o sul terreno di gioco. Il ds ha sbagliato tutto o quasi a livello comunicativo. Le sue uscite sono risultate tanto azzardate quanto smentite dagli avvenimenti successivi. Ha promesso di non vendere Rudiger, quando il giocatore aveva già pronte le valigie per accasarsi al Chelsea. Ha smentito con ironia l’addio di Alisson con quel “Non si muove da qui, altrimenti gioco io in porta”. E prontamente il popolo giallorosso ha visto partire anche il totem brasiliano. E ancora: “Quest’anno non abbiamo bisogno di vendere, la squadra sarà rinforzata”, poco prima di dar via ad una vera e propria rivoluzione tra addii e arrivi, smentendo agli occhi dei tifosi un’altra delle sue celebri ed infelici uscite, ossia “La Roma non è un supermercato”. Intendiamoci, l’arte del bluff e dell’inganno è parte integrante del mestiere del direttore sportivo. Tuttavia, la comunicazione con il proprio pubblico va gestita con sapienza, evitando di infarcire i propri discorsi con promesse impossibili da mantenere e, soprattutto, subito zittite dai fatti. Anche perché, in quest’epoca, nessuna dichiarazione finisce realmente nel dimenticatoio. Prima o poi, tutto può tornare a galla. Non appena la nave giallorossa ha iniziato ad imbarcare acqua, i tifosi si sono ricordati delle sue parole ed il rigetto verso il “monchismo” è stato totale. Anche i migliori possono sbagliare, ma sono i primi a trarre importanti insegnamenti dalle sconfitte. Ed un numero uno come Monchi non si farà cogliere ancora impreparato.
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