Undici metri. È la distanza tra il dischetto e la porta, il margine tra l’essere protagonista della vittoria o immagine della sconfitta. Sono quelli che Cristiano Ronaldo non ha potuto percorrere, ieri sera nella finale tra Napoli e Juventus. Per essere l’uomo dell’ultimo rigore. Quello decisivo, se ci si arriva. Come nel 2012, all’Olimpico gli è andata male. A differenza del 2016, quando si prese la copertina della finale di Champions League. 

Voleva firmare la vittoria. CR7 è così, inutile nascondersi. Tutto o niente. Di solito tutto, va detta la verità: non sarà una finale di Coppa Italia (la seconda persa in carriera, però) a cambiare il palmarès di uno dei calciatori più straordinari di tutti i tempi. Il lusitano cinque volte Pallone d’Oro è il catalizzatore, delle attenzioni, del gioco, dei gol: la Juve lo ha accettato, anche ben volentieri, nel momento in cui ha scelto di puntare sul 7 del Real Madrid e farne il colpo del secolo, almeno in Italia. Contro gli azzurri, voleva essere lui, ancora una volta, a mettere il sigillo finale. A fare del trofeo la coppa di Ronaldo, prima ancora che della Juventus.

Invece scompare nella sconfitta. A conti fatti, però, Cristiano Ronaldo non c’è. Assente nella breve e sfortunata (per i bianconeri, ovvio) lotteria dei rigori. Perché l’ultimo è decisivo, a patto di batterlo. Questione annosa, il dibattito è ampio e variegato, dai campetti di calcetto alle finali dei mondiali: nel 2006, Lippi mandò per primi i più bravi, per esempio. Ultimo rigore o no, il punto è che comunque CR7 vi si sarebbe avvicinato dopo una partita in cui è stato attore non protagonista e non certo dei migliori: ha tirato sì, ma quasi mai rendendosi pericoloso. Ha toccato 48 palloni: tra i titolari, soltanto Buffon e Matuidi hanno “giocato” meno nelle fila della Vecchia Signora. Per i verdetti è presto: siamo solo alla seconda partita del calcio Covid. Ma non sempre si è decisivi tirando la stoccata finale.

Sezione: Serie A / Data: Gio 18 giugno 2020 alle 16:17
Autore: Redazione Eurochampions
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