4 maggio 1949, ore 17:03. Questo giorno e quest'ora rimarranno per sempre impresse nella memoria di tutti i tifosi del Torino e non solo. Quel pomeriggio di inizio maggio l'aereo che riportava a casa la squadra del “Grande Torino” e alcuni giornalisti di importanti testate nazionali si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga. Trentuno furono le vittime, nessun superstite. Una meravigliosa storia di calcio giunse così a un epilogo sfortunato, però nessuno ha mai scordato cosa hanno dato quei campioni a questo sport ma anche al nostro paese.
L'estate del 1939 fu il principio di tutto quando l'industriale Ferruccio Novo assunse la presidenza del Torino, succedendo a Giovanni Battista Cuniberti. Le prime mosse furono incentrate sulla riorganizzazione della società ispirandosi alla politica sportivo-imprenditoriale perseguita con notevole successo da Edoardo Agnelli alla Juventus nella prima metà degli anni 30'. Seguì inoltre i suggerimenti di Vittorio Pozzo rendendo la gestione del club più simile al modello inglese, allora all'avanguardia; per questo si circondò di collaboratori competenti come gli ex giocatori Antonio Janni, Mario Sperone (Campione d'Italia nel 1928) e Giacinto Ellena. Della pura area tecnica si occupavano l'inglese Leslie Lievesley, come allenatore delle giovanili, e Ernest Egri Erbstein, come direttore tecnico. Il primo acquisto di rilievo fu il diciottenne attaccante Franco Ossola, prelevato dal Varese per 55 000 lire seguendo il consiglio di Janni. Lo scoppio della guerra e la successiva entrata nel conflitto da parte dell'Italia nel 1940 non fermarono la crescita e lo sviluppo della società portato avanti dal presidente Novo; questo dovuto anche al fatto che Mussolini decise di non arruolare i giocatori nell'esercito, convinto che essi servissero più sui campi da gioco che in guerra. In vista della stagione 1941/42 furono acquistati ben cinque giocatori: Pietro Ferraris II (Campione del Mondo nel 1938), Romeo Menti, Guglielmo Gabetto, Felice Borel e Alfredo Bodoira. Nonostante l'importante campagna acquisti il Torino non riuscì a conquistare alcun trofeo, in particolare a causa del Venezia di Ezio Loik e Valentino Mazzola che eliminò i granata al primo turno di Coppa Italia e vinse nuovamente in campionato a tre giornate dal termine facendo perdere al Torino il duello con la Roma che si aggiudicò il torneo. Nell'estate del 1942 Ferruccio Novo intervenne ancora in modo decisivo sul mercato prelevando proprio dal Venezia Loik e Mazzola per 1 200 000 lire circa. Assieme a loro arrivò dalla Triestina il mediano Pietro Grezar, su consiglio di Vittorio Pozzo. La stagione 1942/43 sancì l'inizio del dominio incontrastato dei granata in Italia. Quell'anno, infatti, il Torino conquistò il suo secondo scudetto, dopo quello dell'annata 1927/28, e trionfò anche in Coppa Italia realizzando il primo double della storia del calcio italiano. Visto l'evolversi in peggio del conflitto mondiale per l'Italia e con la penisola italiana divisa in due dalla Linea Gotica, ci furono dei tornei ma la Serie A dovette fermarsi. Il campionato riprese a partire dalla stagione 1945/46 ma neanche la pausa bellica arrestò il dominio assoluto di Mazzola e compagni. Ferruccio Novo continuò a portare grandi giocatori a Torino; gli acquisti per quella stagione furono il portiere Valerio Bacigalupo, il terzino Aldo Ballarin, il rientro di Virgilio Maroso, Eusebio Castigliano e il roccioso Mario Rigamonti. Fu così che venne a costituirsi l'undici destinato a passare alla storia: Bacigalupo, Ballarin A., Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Ossola, Mazzola, Gabetto. Il 3 maggio 1949 allo Stadio Nazionale di Lisbona il “Grande Torino” disputò la sua ultima partita contro il Benfica. Gli ultimi novanta minuti del mito degli Invincibili.
Cinque scudetti e una Coppa Italia, 125 gol in un singolo campionato, 88 partite consecutive di imbattibilità casalinga e altri record ancora. Non si può, però, tentare di ridurre tutto ciò che è stato il “Grande Torino” a numeri e statistiche. Quella squadra fu una sorte di luce in un tempo buio con l'Italia del dopoguerra in ginocchio e devastata dal conflitto mondiale. Loro come altri campioni, Coppi, Bartali e gli olimpionici del 1948 avevano ridato la speranza di potersi rialzare e ricominciare a ricostruire ma soprattutto a vivere. Furono per molti un sogno che si infranse nel suo momento di massimo splendore ma il cui ricordo esisterà per sempre nella mente e nei cuori di chi ama questo sport e non solo.
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