Il day after l'eliminazione dalla Champions League della Juventus per mano della sorprendente formazione di ten Hag pone inevitabilmente degli interrogativi; anzi è giusto domandarsi cosa non sia andato e perché. Perché quella che a detta di molti è la miglior rosa nel continente, sia uscita nettamente contro un avversario di caratura inferiore. A nostro modo di vedere, gli aspetti su cui soffermarci sono due: uno di natura psicologica, l'altro è tecnico-tattico.

La sindrome da Champions

Detta così, potrebbe anche sembrare un concetto astratto trito e ritrito per trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l'ha (cit.) ma in realtà è un aspetto che va tenuto in considerazione soprattutto in relazione allo scorrere della gara dello Stadium. La formazione bianconera ha approcciato bene alla partita, con lo spirito e la determinazione giusta tanto che osservandola si aveva la chiara sensazione che il gol fosse nell'aria e che i lancieri non fossero in grado di sovvertire il pronostico. Cristiano Ronaldo trova la rete del vantaggio (5° gol su 5 nella fase ad eliminazione diretta, ha segnato solo lui, ndr) ed improvvisamente la Juve inizia a perdere certezze, le viene il braccino come si dice in gergo tennistico. Che sia stata la paura di vincere? O meglio, è possibile che gli uomini di Allegri, una volta andati in vantaggio, abbiano avuto paura che, continuando con quell'impostazione di gioco aggressiva, prestassero il fianco ad eventuali ripartenze e per questo si siano inconsciamente fatti prendere dall'agitazione di un risultato che stava maturando ma che sarebbe potuto sfumare? E' un'ipotesi ma nel momento in cui arriva il fortunoso pareggio di van de Beek, detta ipotesi inizia a prendere maggiormente corpo; è un po' come se i giocatori, ma anche il tecnico (tra l'altro mai visto così nervoso in panchina, ndr) si siano detti: "Hai visto? E ti pareva..."
La ripresa, poi, è venuta fuori in maniera lampante la paura di subire il secondo gol, quello dell'eliminazione e così è stato con l'aggravante di non essere mai stati in grado di un sussulto d'orgoglio per cercare di risalire la china, anzi la sensazione è che ci fosse una sorta di rassegnazione rispetto a questa competizione che, ormai da 23 anni, alla stazione di Torino Porta Nuova non vuole assolutamente fermarsi...

Pressione alta, un nervo scoperto

Se la questione psicologica non fosse sufficiente a trovare una ragione all'eliminazione bianconera ed anzi se si può ritenere l'aspetto emotivo come circostanziabile ad un singolo match (o al massimo ad un doppio confronto), i difetti nell'impostazione della/e partita/e hanno invece radici più profonde e sono di difficile estirpazione. Il nodo sta nel capire se una squadra è capace di mascherarli oppure se, a livello europeo, certi limiti vengano messi a nudo in maniera inesorabile. Cosa ci aveva raccontato, fin qui, la stagione bianconera? Che una pressione ben fatta sulla prima costruzione ed un innalzamento del ritmo mettono in seria difficoltà il tessuto tattico di Massimiliano Allegri; Lazio, Atalanta, Atletico Madrid, Ajax stesso all'andata ma anche Milan e Napoli, seppur solo a tratti, hanno dimostrato che se si obbliga Pjanic a giocare spalle al campo e con poco tempo per ragionare, la manovra ne risente e non poco.

Da questo punto di vista, l'avvio di gara è sembrato in netta controtendenza rispetto a questo assunto; pressione juventina in avanti, chiusura delle linee di passaggio, avversari obbligati a ricevere palla girati o "in galera" tanto da dover ricominciare da dietro oppure buttarla via senza pensare. Insomma, un metodo efficace che ha permesso anche in fase di possesso di avere il tempo e lo spazio per ordire trame offensive importanti e che la squadra di ten Hag faticava ad assorbire; questo fino al gol dell'1-0. Dopo il vantaggio, il baricentro bianconero si è abbassato, iniziando a concedere quegli spazi che gli olandesi bramano ma il turning point della sfida si è avuto all'intervallo. In molti hanno criticato la prestazione di Paulo Dybala, considerandolo spento e inesistente in zona gol; costoro hanno indubbiamente ragione ma non hanno guardato il rovescio della medaglia e cioè che la Joya è stata preferita a Kean perché Allegri voleva che l'argentino andasse a schermare de Jong in modo che il prossimo giocatore del Barcellona fosse del tutto estraneo alla manovra e finché si è verificato questo, tutto l'Ajax non ha girato. L'infortunio muscolare che ha tirato fuori il capitano di serata bianconero all'intervallo ha fatto letteralmente saltare il tappo; il resto della squadra ha preso paura ed ha abbassato vertiginosamente la linea di pressione, passando da un recupero palla attivo ad uno passivo e attendista, le distanze tra i reparti si sono allungate a dismisura tanto che ad ogni dribbling riuscito, i giocatori olandesi avevano almeno 15 metri a disposizione prima di trovare un altro ostacolo in casacca bianconera e soprattutto de Jong ha iniziato ad orchestrare a suo piacimento, dando forza ai suoi che hanno cambiato passo, trovando una qualificazione meritata.

In finale, si può ritenere che questi due aspetti, sommati, abbiano prodotto il cortocircuito che ha condannato la Juve ad un'altra cocente eliminazione in Champions League malgrado Cristiano Ronaldo e malgrado, sulla carta, questo quarto di finale fosse assolutamente alla porta della Vecchia Signora.

Sezione: Champions League / Data: Mer 17 aprile 2019 alle 10:10
Autore: Francesco Mariello
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